Messaggi dell’Arcivescovo Ordinario Militare
alla diocesi Ordinariato Militare per l'Italia
MESSAGGIO DI SALUTO ALLA CHIESA ORDINARIATO MILITARE D’ITALIA
Cari Fratelli e Sorelle della Chiesa Ordinariato Militare d’Italia,
Venerato e stimato fratello nell’Episcopato Mons. Santo Marcianò,
Diletti Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, Seminaristi, Distinte Autorità civili e militari,
a tutti e a ciascuno giunga il mio saluto cordiale, rispettoso e affettuoso: desidero aprire a voi il mio animo con un messaggio fraterno e familiare.
Come potete intuire, in questo momento il mio cuore è ancora diviso tra l’affetto per l’amata e illustre Chiesa Turritana e – d’altro canto – corre a voi con uno slancio di fede e di amore, desideroso di incontrarvi e conoscervi per camminare insieme, sostenuti dalla grazia speciale dell’Anno giubilare come pellegrini di Speranza.
Ringrazio il Santo Padre Francesco per la paterna fiducia che ha inteso riporre in me affidandomi la guida della Chiesa Ordinariato Militare d’Italia, un delicato e significativo servizio, soprattutto in un frangente storico planetario che Egli definisce come segnato da una «terza guerra mondiale combattuta a pezzi» (Francesco, Discorso del 13 maggio 2023). Prego e preghiamo affinché il Signore lo custodisca nel ministero corroborato dalle grazie necessarie.
Guidato dal suo illuminato magistero sarà pertanto mia premura esercitarmi – direi addestrarmi spiritualmente e culturalmente – per promuovere una Chiesa ospedale da campo, inclusiva, aperta a tutti e missionaria, affinché possiamo contribuire a realizzare «un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle sole parole» (Francesco, Fratelli Tutti, 6).
Apprenderò progressivamente a conoscere una nuova realtà, certo del vostro aiuto.
Ringrazio di vero cuore il caro fratello vescovo mons. Santo per le energie apostoliche e la larghezza d’animo con le quali ha servito con profonda generosità questa peculiare porzione di Chiesa. Grazie per la preziosa eredità spirituale. Insieme a Lui saluto e ringrazio tutti gli organismi di Curia e di azione pastorale per il servizio e la dedizione. Un particolare saluto al Vicario generale mons. Sergio Siddi.
In seguito alla nomina del Santo Padre Francesco, a me trasmessa per mezzo di Sua Eccellenza il Nunzio Apostolico, il mio pensiero è subito corso alla ricerca del volto di questa nuova porzione di Chiesa, che mi viene affidata per amarla e servirla nel nome di Cristo.
Quando si immagina una diocesi, il pensiero corre inizialmente a città, luoghi geografici e strutture. Ma in questo caso – pur rimanendo presenti tutte queste dimensioni – emerge con forza l’identità personale della Chiesa: direi il volto di una realtà poliedrica, formata da pietre vive. Saremo così un “noi” – vescovo, presbiteri, religiosi e religiose, seminaristi e laici – il volto di questa Chiesa, con provenienze, culture, tradizioni, sensibilità molteplici. Il volto di una Chiesa cattolica: universale, un popolo dai molti volti e colori.
Saluto con affetto voi Cappellani militari, che con dedizione e spirito evangelico accompagnate le donne e gli uomini delle Forze Armate nei diversi contesti della loro vita e del loro servizio. Il vostro ministero, spesso esercitato in situazioni complesse e lontane dalle ordinarie strutture ecclesiali, è segno concreto della maternità della Chiesa. A partire dall’Eucaristia, siete presenza viva accanto a quanti sono chiamati a servire con fedeltà e sacrificio. Ogni giorno offrite il vostro impegno, l’ascolto paziente e la vicinanza discreta di chi accompagna con cuore evangelico. Insieme a voi saluto, con particolare affetto, i giovani che sono impegnati nel discernimento e nella formazione al presbiterato nel mondo militare, così come i religiosi e le religiose, il cui servizio silenzioso e fedele arricchisce la vita della nostra Chiesa.
Un saluto speciale desidero rivolgerlo a voi militari e alle vostre care famiglie. A ciascuno di voi va anche la mia gratitudine per il servizio che svolgete con impegno, disciplina e senso del dovere, spesso in condizioni difficili e lontano da casa. Grazie per la dedizione ai valori profondi della solidarietà, del bene comune e l’amore per la pace. Il vostro è un cammino fatto di sacrificio, ma anche di valori profondi come la solidarietà, la lealtà e l’amore per la pace. Alle vostre famiglie, che vi sostengono con affetto e discrezione, giunga il mio abbraccio affettuoso e cordiale: la loro presenza silenziosa, la loro attesa, la loro forza nascosta sono parte integrante della vostra missione. Camminiamo insieme, portando nella preghiera le gioie, le fatiche e le speranze gli uni degli altri.
Rivolgo un pensiero speciale ai tanti giovani che avrò la gioia di incontrare. Desidero accompagnarvi nel cammino per promuovere una cultura che genera sentinelle a servizio di una rinnovata fraternità universale tra popoli, culture e religioni. Cari giovani, ho tanta fiducia in voi qualunque sia l’appartenenza e il credo.
Invio un saluto particolarmente affettuoso a coloro che soffrono, a chi si trova in luoghi o situazioni segnati da prove, difficoltà e nelle missioni speciali in corso.
La nostra Chiesa è cattolica, viva e giovane: autenticamente universale, chiamata a generare una cultura di fraternità senza confini.
Alla scuola di Sant’Agostino, fulgido esempio di pastore esperto nelle cose di Dio e dell’umanità, ho appreso alcuni tratti che delineano il volto della Chiesa; tratti che ora condivido con voi.
Cari amici, la Chiesa è Casa, la Casa di Cristo sono i cristiani, il suo fondamento è Cristo, il suo volto è bello.
Agostino, commentando il versetto del salmo “Signore ho amato la bellezza della tua casa”, ci indica il mistero della Chiesa viva: «Che cos’è infatti la bellezza della casa del Signore, e il luogo dell’abitazione della sua gloria se non il suo tempio, del quale l’Apostolo dichiara: Santo è il tempio di Dio che siete voi? E allora come i nostri occhi si dilettano davanti a edifici materiali eleganti e maestosi, così, quando le “pietre vive” ossia i cuori dei fedeli sono unite dal vincolo della carità, allora si manifesta la bellezza della vera casa di Dio, luogo della sua gloria. Imparate dunque cosa dovete amare, per poterlo amare» (Discorso 15,1).
Infatti, Cristo desidera da noi una Chiesa dell’incontro: «Come due muri che avanzano da direzioni opposte, i popoli si incontrano in Cristo, punto di convergenza e di unità […] Se l’edificio visibile è costruito per radunarci fisicamente, quello spirituale, che siamo noi, è costruito per Dio, che vi abita. Santo è il tempio di Dio, che siete voi» (Agostino, Discorso 337, 1-2).
Nel nostro cammino, ci sostengano queste immagini di Agostino, dal quale ho tratto anche il mio motto episcopale: Dilectione amplectere Deum.
L’abbraccio di Dio è un amore che non ha confini né di spazi geografici, né di volti né di culture né di religioni. Cogliamo in tutti la bellezza di Dio perché ci sostenga nel comune servizio verso un’umanità lacerata da violenze e in ricerca della concordia.
Nel processo sinodale che impegna la Chiesa Universale e le Chiese particolari – che proseguiremo anche noi – desidero sintetizzare in tre immagini il processo pastorale che ci attende: il campo, la tenda, il cammino (paroikía e xeniteía).
La Chiesa Ordinariato Militare d’Italia incarna in modo peculiare la dimensione itinerante della fede. Per certi aspetti, essa non ha un luogo fisso, ma si muove con gli uomini e le donne che serve. Il suo territorio è mobile, spesso segnato da contesti di precarietà, di frontiera, di servizio e di rischio. Territori geografici e antropologici dove testimoniare la prossimità evangelica autentica, divenendo compagni di viaggio, presenza discreta che sa camminare accanto, ascolta e condivide. La Chiesa della vicinanza annuncia Cristo camminando accanto, accettando di condividere le stesse tende, gli stessi campi, gli stessi passi.
Il campo, nella tradizione biblica, è un luogo dinamico e aperto, carico di simbolismo. È spazio di lavoro e di attesa, di semina e di raccolto, ma anche luogo di incontro, di discernimento e di battaglia spirituale. Gesù stesso attinge spesso all’immagine del campo per spiegare il Regno di Dio: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Mt 13,24).
La tenda è una delle immagini più evocative e ricche di significato nella Sacra Scrittura. Essa attraversa la narrazione biblica come simbolo dinamico della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, segno tangibile di una vicinanza che accompagna il cammino, senza mai imporsi, ma che abita e custodisce.
Nel Nuovo Testamento, questa immagine viene portata a compimento nel mistero dell’Incarnazione: «E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). In Gesù, Dio non solo è vicino, ma si fa uno di noi. Condivide la nostra condizione umana, le nostre gioie e sofferenze, le nostre strade polverose.
La Chiesa stessa, in questo tempo sinodale, è chiamata a riscoprirsi come tenda di Dio: non una fortezza chiusa, ma uno spazio aperto, accogliente, capace di adattarsi alle strade del mondo e di piantarsi ovunque ci sia bisogno di consolazione, giustizia e speranza. Una Chiesa che non si ferma, ma cammina con l’umanità, sotto il segno della nube e del fuoco dello Spirito (cf. Es 13,21).
Due parole della tradizione cristiana delle origini – paroikía (dimora temporanea) e xeniteía (esilio volontario) – descrivono con efficacia il dinamismo della vita cristiana. Non siamo mai pienamente “a casa” nel mondo: siamo pellegrini, ospiti, stranieri in cammino, con lo sguardo orientato verso una patria che ancora non si vede, ma che già abita il nostro cuore.
Ora, vorrei condividere un sogno con tutti voi.
In questo nostro cammino, oggi più che mai, urge una decisiva e profonda formazione dello Spirito per superare lo scontro di civiltà e generare una speranza operativa verso una civitas oecumenica. È necessario trasformare il processo di globalizzazione in comunicazione, scambio culturale, prossimità e incontro.
Questo è il sogno pastorale e culturale della Fratelli Tutti: promuovere una cultura della fede che superi la tentazione di omologare e omogeneizzare, favorendo invece la reciproca conoscenza, l’ampliamento degli orizzonti e il superamento delle visioni unilaterali.
La peculiare configurazione della Chiesa Ordinariato Militare d’Italia mostra in modo eloquente l’immagine del poliedro, al quale accostarsi superando la logica della sfera come suggerito dall’Evangelii Gaudium. In questa visione, la vita della Chiesa non si chiude su se stessa, ma abita lo spazio pubblico in modo dialogante e propositivo, disposta ad ascoltare e ad apprendere, attenta a proporre un umanesimo ispirato al mistero di Cristo.
Assicuro il mio sincero desiderio di dialogare con tutti e tutte: penso a ciascuno, anche a coloro che ancora non conosco, come volti eloquenti di bellezza, qualunque sia il vostro credo o professione di fede, l’origine sociale o politica, la condizione umana o spirituale.
Lasciandoci ispirare dal magistero di Papa Francesco, cammineremo per essere una presenza di ascolto, che disarma pensieri, parole e gesti, per non cadere nel mito della forza. Chiamati, in questo peculiare frangente sociale, a promuovere un nuovo umanesimo dell’incontro, una civiltà dell’amore, percorrendo tutte le vie del peace thinking con la creatività sollecitata dal Papa e dal processo del Sinodo in corso.
Dilectione amplectere Deum – «Abbraccia Dio con amore» (Sulla Trinità 8,12). Sant’Agostino, in un tempo segnato da disorientamento e paura, seppe indicare una via ancora oggi attuale: affrontare la lotta tra due amori, l’amore di sé, che esclude Dio e i fratelli, e l’amore di Dio, che porta fino al dono totale di sé, fino al martirio. Solo così si vince l’egoismo terreno, aprendosi con intelligenza e cuore verso l’Alto e verso l’Altro.
Il Signore illumini il nostro cammino con la luce della sua Parola e ci doni la forza per servire con generosità e pace. Sia la nostra vita una testimonianza viva di speranza e di fraternità. Ci accompagni sempre la protezione della Vergine Maria, Madre tenerissima e guida sicura, con l’intercessione dei Santi Patroni delle Forze Armate, in special modo di San Giovanni XXIII e Santa Caterina da Siena.
Siate certi della mia costante preghiera e della mia vicinanza, sicuro della vostra per me.
In attesa di incontrarci personalmente, il Signore vi benedica e vi protegga sempre.
Sassari, 10 aprile 2025
✠ Gian Franco Saba Arcivescovo







Omelia alla Messa del Crisma
a conclusione dei 13 anni di Ministero Episcopale
di SANTO MARCIANO' nell'Ordinariato Militare per l'Italia
Roma, Chiesa Santi XII Apostoli, 9 aprile 2025
«Canterò per sempre l’amore del Signore»!
Carissimi confratelli, è con un canto che il Salmista (Salmo 88) ci fa entrare in questa Liturgia Crismale, per noi anche occasione di saluto e ringraziamento, al termine del mandato di Ordinario Militare. Per quasi dodici anni, abbiamo camminato assieme nell’amore «del» Signore.
Sì, è Suo l’Amore che ha mosso i nostri passi; è Suo l’Amore che ci ha chiamati al Sacerdozio, di cui facciamo memoria nell’Eucaristia di oggi. Perché questo amore ci viene elargito ogni giorno, per la fedeltà di Dio: «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui», Egli promette; e le promesse sacerdotali da noi rinnovate altro non sono se non risposta gioiosa e stupita alla Sua fedeltà che possiamo riconoscere in ogni attimo, in ogni circostanza della nostra vita e del nostro sacerdozio.
Con Lui, dunque, oggi guardiamo assieme indietro; lo facciamo mentre, per Provvidenziale disposizione, possiamo «proclamare l’anno di grazia del Signore» (cfr. Is 61,1-3.6.8b-9). Il Giubileo, nel suo essere tempo solenne, tempo particolarmente dedicato – quasi riservato – a Dio, tempo di indulgenza e perdono, tempo di misericordia e gratitudine, è anche spazio di sosta e di memoria, che fa rivivere quanto il Signore opera in noi, con noi, con il suo popolo: è tempo per rileggere la storia, tempo per riconsegnare la storia. Perché la storia, come l’amore, è «del» Signore, è attraversata dalla Sua «grazia».
E davvero la Grazia di Dio ha attraversato la storia di questi anni! Si è riversata con abbondanza sulla nostra Chiesa Ordinariato Militare; ma se essa ha portato frutto è anche per il vostro sacerdozio che l’ha accolta; per il ministero di voi cappellani militari, la cui preziosità ho potuto conoscere sempre meglio, imparando tanto da tutti voi e crescendo con voi nel mio stesso episcopato.
Utilizzando le parole di Gesù nel Vangelo (Lc 4,16-21), mi piace pensare che questi siano stati anni in cui si è «compiuto» il nostro comune sacerdozio, che è un unico sacerdozio. Lo dico con particolare commozione in questo giorno in cui ricorre anche l’anniversario della mia Ordinazione sacerdotale. Non c’è vescovo senza presbiteri e il «compimento» è comune, perché porta, assieme alla crescita personale nel sacerdozio, una crescita della comunione.
È per questa comunione il mio primo e più grande grazie a Dio!
L’abbiamo accolta e coltivata negli incontri personali, qui a Roma o nelle vostre sedi; e i vostri volti sono per me impressi nella memoria, nella gratitudine, nella preghiera. Ho vissuto anzitutto per voi preti, portando ciascuno nel profondo del cuore e delle “viscere”. Ho ammirato con orgoglio paterno i frutti della fecondità presbiterale, sgorgati da quell’amore personale per Cristo che si fa ansia e creatività pastorale; ho pianto le vostre lacrime, affidando alla Paternità di Dio dolori e fatiche, anche quelli che la mia stessa paternità non riusciva a colmare.
E ho gioito tanto con voi, specie nei momenti belli e insostituibili di incontro tra presbiteri: i Corsi di Formazione annuali, preziosa occasione di aggiornamento, condivisione, preghiera e ristoro; gli Esercizi Spirituali, che ci hanno visto spezzare la Parola, pregando assieme e pregando gli uni per gli altri: come non ricordare, fra tutti, il cammino sui passi di Gesù con gli Esercizi in Terra Santa?
Una gioia, la nostra, che si è arricchita per il cammino compiuto dal Seminario San Giovanni XXIII. Non smetto, lo sapete, di rendere grazie a Dio per questo Suo dono e per il dono di formatori [2] che hanno saputo custodirlo e curarlo: grazie a voi! E grazie a tutti i seminaristi che hanno fatto la comunità, molti dei quali ho avuto la grazia di ordinare sacerdoti. Il Seminario, diceva San Giovanni Paolo II, è la «pupilla degli occhi» con cui il vescovo può guardare la sua Chiesa e guardare pure al futuro; avendo vissuto il Seminario in clandestinità, egli sapeva bene quanto preziosa sia questa realtà per ogni Diocesi; tanto più lo è per la nostra, con le sue peculiarità pastorali. Continuate a puntare sul Seminario, con coraggio e fiducia nel Signore che non smette di chiamare i suoi figli; e ricordate che, se pure sembrassero sopravvenire tempi difficili sul piano vocazionale, non è un motivo per arrendersi ma per insistere e lavorare di più! Il Seminario, infatti, è culla di vocazioni e strumento di contatto con i giovani.
Nella nostra Chiesa i giovani non mancano; e dico grazie per come sono accompagnati, umanamente e spiritualmente, da voi cappellani e dalle iniziative dell’Ufficio di Pastorale giovanile, che in questi anni ha tanto lavorato, come tanto hanno lavorato gli altri Uffici di Curia, riorganizzati e collegati con le diocesi territoriali e con gli Uffici della Conferenza Episcopale Italiana. Pensando in particolare ai giovani, ne ricordo tantissimi, incontrati in udienze, celebrazioni, viaggi; i giovani che, sempre più numerosi, hanno partecipato alle Scuole di Preghiera, imparando il silenzio dell’ascolto e il linguaggio dell’Adorazione. E ricordo quanti giovani militari sono arrivati a Lourdes, nel Pellegrinaggio Militare Internazionale, stringendo la mano ai fratelli di altri Paesi e lasciandosi prendere per mano da Maria, per poter cambiare vita: con una Confessione, con un Rosario alla Grotta, con una Messa, con l’aiuto di un sacerdote… Il sacerdote è davvero presenza insostituibile. Ricordiamo la sapienza di San Giovanni Maria Vianney: «lasciate per anni una parrocchia senza prete, e vi si adoreranno le bestie».
E la grandezza del ministero sacerdotale è proclamata da Gesù, nella cui “Persona” la nostra vita di preti si offre e si consuma: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio».
Come Lui, lo Spirito ci ha consacrato; ed è lo Spirito il vero protagonista della nostra storia e della storia di questi anni. Lo Spirito che è «del» Signore, come l’Amore; lo Spirito che è l’Amore nella Trinità. Ecco perché, scrive Teilhard de Chardin: «il lusso del Sacerdote è di poter amare tutti». Tutti, tutti, tutti, grida Papa Francesco…
Lo Spirito che ci ha inviato ai nostri poveri e alle povertà della nostra Chiesa, anche quelle più nascoste, per «evangelizzare» (euanghéllo), dice letteralmente il Vangelo di Luca; cioè per portare la Parola di gioia.
Assieme a voi, ho avuto la gioia di portare ai nostri militari la Parola di Dio, balsamo e forza per la vita.
Parola che può «consolare tutti gli afflitti». E quanti afflitti, quanta afflizione in questi anni!
Abbiamo assistito, specie negli ultimi tempi, a una recrudescenza inattesa e a un progressivo diffondersi di tanti focolai di guerra, che interpellano in qualche modo anche i militari italiani. Penso soprattutto a coloro i quali sono impegnati nelle Missioni Internazionali che, in terra o in navigazione, richiedono un crescente impegno. Li ho visitati sempre quando ho potuto, specie nelle Feste; e soprattutto ho visto il modo in cui voi, cappellani, li affiancate in questa vita faticosa e rischiosa, aiutandoli a maturare nella loro vocazione di operatori di pace. Una vocazione che, in quei luoghi, cerca di puntare al dialogo, al rapporto con le popolazioni locali, al servizio umanitario, ma esige per tutti i militari una formazione adeguata, ovunque essi si trovino e qualunque ruolo ricoprano. Da sacerdoti, voi accompagnate personalmente tutti: dai militari nelle caserme agli allievi nelle Scuole; da coloro che sono impegnati nelle emergenze a quelli che svolgono compiti di alta responsabilità di guida, anche nel mondo delle Istituzioni. Siete accolti e cercati da loro e ne [3] stimolate il servizio alla giustizia, al bene comune, alla pace, sapendo che, in ogni luogo, è un privilegio – lo è stato pure per me – portare Cristo e il Suo Vangelo, portare l’olio di consolazione che ci ha unti nell’Ordinazione e che va versato sui fratelli.
E di una grande consolazione abbiamo avuto bisogno nel tempo della pandemia. Sono passati solo cinque anni e sembrano giorni lontani, quasi irreali, ma hanno segnato il mondo e il nostro mondo militare. In quel contesto di buio, paura, morte... di impossibilità per molti di accostarsi al banchetto Eucaristico, noi sacerdoti abbiamo continuato a celebrare la Messa per il popolo, a riscoprire la forza della preghiera e della Parola di Dio, luce e nutrimento per chi ha vissuto la malattia e la morte, come pure per i militari che hanno affrontato e affiancato tante situazioni di emergenza. Emergenze ora attive in altre modalità, quali le calamità naturali o il soccorso dei migranti in mare: e quanto supporto serve quando operazioni del genere falliscono, portando nuovi lutti!
Ma la Parola di Dio promette «olio di letizia invece dell’abito da lutto».
L’ho visto, commosso, nei funerali di giovani militari in servizio celebrati in questi anni; ricordo le lacrime di mamme, padri, spose, figli, fratelli, colleghi… il “perché?”, che si leva dai loro cuori e dai nostri cuori di preti, i quali spesso possono solo condividere. Non lo dimenticate: le loro famiglie, le tante famiglie dei militari toccati dal dolore, continuano ad aver bisogno del vostro cuore; di questo cuore sacerdotale, canale di quello che il Papa, nella sua ultima Enciclica, chiama «l’amore umano e divino del Cuore di Gesù», unica vera speranza per un «mondo senza cuore»1.
Ecco cosa siamo noi sacerdoti: «cuori» che portano il Suo Cuore e annunciano la Sua Parola! Una Parola che ci viene «data», come fu «dato» a Gesù «il rotolo del profeta Isaia». Una Parola che si dona a noi, per essere «compiuta» nell’«oggi»: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Stiamo guardando al passato, sì, ma nella luce dell’«oggi».
E il grazie è epifania del «compimento» che può avvenire sempre e solo nell’«oggi».
Così il mio grazie, carissimi, è per quanto della Parola di Dio si è compiuto e si continua a compiere nell’«oggi» della vostra vita e del vostro sacerdozio. Un ministero non sempre accolto e capito, spesso “ridotto” a prospettive che non appartengono ai cappellani militari o guardato con perplessità, quasi come l’omelia di Gesù nella sinagoga di Nazareth. Eppure, come per Lui, un ministero sul quale sono «fissi» gli occhi della gente, mendicanti di speranza.
Sì, la speranza è cercata dagli «occhi»! Da occhi che non riescono a vederla negli angusti orizzonti del mondo. È scrutata nelle nostre vite chiamate a essere sacramento e trasparenza di Cristo, speranza che «non delude»; vite chiamate ad essere sante! Questo gli occhi della gente cercano in noi: la santità. Una santità possibile, dentro le nostre fragilità. E solo la santità, se ci pensiamo bene, è vero annuncio di gioia.
Tra le gioie più grandi di questi anni, il Signore ci ha regalato proprio due doni di santità: la canonizzazione di Giovanni XXIII e la sua proclamazione a Patrono dell’Esercito Italiano, segno della predilezione della nostra Chiesa da parte di un Santo tanto vicino a tutti i militari, alla gente; il recente Decreto di venerabilità di Salvo D’Acquisto, giovane carabiniere, icona di quel dono di vita che anima tanti dei nostri militari.
Guai a non accorgersene! C’è una straordinaria santità racchiusa nella storia della Chiesa che è tra i militari, soprattutto nei cappellani militari! C’è tanta santità in voi! Cercate di crederci, di coltivarla, di crescere in essa sempre.
1 Cfr. Francesco, Lettera Enciclica Dilexit Nos [4]
È il dono che porto con me e il dono che imploro per voi. È la mia preghiera per voi e vi chiedo, con tutto il cuore, che sia la vostra preghiera per me.
E la preghiera ci ha unito molto in questi anni, fortemente sorretta dall’Adorazione perpetua nelle Chiese di Santa Caterina e del Sudario a Roma e particolarmente dedicata alla pace. Grazie alle Suore che l’hanno fedelmente animata e grazie a tutte le persone consacrate della nostra Chiesa, alle diverse Associazioni che ne fanno parte, anzitutto la Croce Rossa e il PASFA; grazie ai collaboratori instancabili dell’Ordinariato Militare, a tutti i militari, dalle più alte autorità ai più giovani allievi; grazie a coloro che sono presenti a questa Eucaristia. A tutti ho voluto esprimere vicinanza inviando un messaggio di saluto e continuerò a farlo, sempre, con la mia preghiera.
Cari confratelli, «Canterò per sempre l’amore del Signore»!
Il grazie per il cammino compiuto si fa preghiera, si fa canto. «Canta e cammina», esorta S. Agostino in un Discorso sulla Pasqua e quasi anticipa l’“Alleluia” che riassume ed esprime quanto abita il mio cuore. Il nostro cammino prosegue ora su strade diverse ma continuerà con lo stesso amore del Signore, la stessa preghiera, lo stesso canto di lode e gratitudine: «Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina […] Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina!»2. Grazie a tutti e buon cammino verso Cristo (cfr. Ap 1,5-8): «a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen»!
+ Santo Marcianò Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
2 S. Agostino, Discorso 256, nei giorni di Pasqua sull’Alleluia