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lectio sulle condanne di Gesù - squadraeprima.it

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CONDANNATO DA CHI? PER COSA?
lectio sui processi a Gesù
La Passione del Signore, che dai Vangeli riecheggia nelle liturgie della Settimana Santa, suscita sempre in chiunque meditazione, preghiera, propositi di vita. Nell'espansione della Chiesa apostolica bastò il kerygma pasquale, come ci è riferito da Paolo nella 1^Corinti 15, a far scaturire l'adesione di fede nel Salvatore del mondo: “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture”. E il Simbolo del concilio di Nicea nel 325 ne prese atto: “fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato; morì e fu sepolto, e il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”.
In molte culture, quest'uomo processato e messo a morte con infamia è diventato simbolo nel quale si sono identificati tanti oppressi e innocenti, condannati ed eliminati dai vari sistemi di potere e dalle tante soggettività assunte dalla malvagità umana.
I martiri cristiani invece, dal diacono Stefano fino al IV secolo (ed anche in ogni altro tempo), si preoccuparono, più che di cercare consolazione nella Passione del Signore, di attestare la forza e la libertà di patire e resistere per Gesù e come Gesù, sia nei tribunali che durante i supplizi, fino al sacrificio della propria vita. La quale, proprio perché vita già salvata da Gesù, non poteva essere smarrita nella paura, nel rinnegamento o nella soggezione alle divinità e ai poteri pagani. E men che meno, si sarebbe perduta nel sacrificio del martirio.
Ma perché il Figlio di Dio lo ha fatto? Ci può interessare una comprensione più precisa dei due processi subiti da Gesù, accompagnati dalle due connotazioni “secondo le Scritture” e la “volontà” di Gesù di andare incontro ad un destino tragico (le predizioni della passione come Mc 10,32 ss et Lc 9,51 et).
Quel “secondo le Scritture” è stato forse un obbligo spaventoso (benché divino) di nemesi storica, per la quale Gesù sarebbe stato mandato a pagare tutti gli sconti inutili concessi dal Dio clemente verso il Popolo eletto, abbondantemente infedele e perverso? No, quel “secondo le Scritture” conclude nella storia la rivelazione di Dio tutto e solo amore che, dopo aver offerto alleanza e misericordia nella storia del Primo Testamento, riversa ogni bene in Gesù Figlio di Dio (perdono, liberazione dal male, sapienza, cura, misericordia, annuncio del Regno). Questa grazia è offerta a tutti e accolta dalle moltitudini. Questo amore accetta anche quel rifiuto ostinato fino alla condanna obbrobriosa della crocifissione romana, pur di continuare a manifestare la verità di Dio, effusione di amore inesauribile, senza la quale l'uomo sarebbe perduto a morte nella sua ignoranza, nel suo peccato, nel suo male.
E quelli che lo condannarono, per quali ragioni giunsero a quella decisione? Gesù fu rifiutato o non capito?
Le fonti del Nuovo Testamento evidenziano la determinazione del Sinedrio guidato da Caifa di eliminare questo rabbi profeta e l'acquiescenza di Pilato nel concedere la condanna capitale. Dal contesto degli eventi non si devono escludere la parte avuta da Erode Antipa, il ruolo d'indirizzo processuale del Sommo Sacerdote emerito Anna, l'azione dei falsi testimoni e la malleabilità di una folla ostile a Gesù. Si può osservare anche che Gesù si trovò al cospetto di una coralità istituzionale di carnefici.
Davvero in due anni e mezzo – o poco più – di missione pubblica, Gesù aveva messo in atto tante azioni contro tutti, al punto da riuscire a far convergere contro di lui autorità giudaiche, gruppi avversi e autorità romana?  
In quei tempi era già di per sé frequente cadere vittime di epidemie, predazioni e altre mille sventure (età media 24 anni); ed era ugualmente facile essere condannati dal potente di passaggio. Gli innocenti antisistema sono vittime ineludibili delle logiche di potere, che non tollerano danno né contestazione dei propri interessi e dei propri leaders, i quali hanno una consapevolezza granitica della propria forza e la usano senza remore. Gesù fu un antagonista, un non integrato, un malcapitato a Gerusalemme, di quelli che le autorità ebraiche e romane erano abituate ad eliminare?
Questa convinzione c'è nel Vangelo arabo dell'infanzia o nel Vangelo di Verità con le sue metafore, o nell'apocrifo di Giacomo e in altri testi apocrifi. Sconfortante la conclusione del Vangelo di Giuda, che consegna Gesù ai suoi crocifissori in un impeto di fatalismo mistico. Così il Talmud. Così Giuseppe Flavio e gli altri storici romani. La loro logica ermeneutica è necessitata dall'assenza di fede e quindi dal misconoscimento di Gesù come rivelatore di Dio Padre. Molti storici lo fanno ancor oggi, per ideologia, perché prima costruiscono il mito sopra Gesù e poi lo distruggono, attribuendosi il merito di avercene liberato.
Storicizzando: le autorità giudaiche, dopo l'epoca asmonea, erano riuscite a stabilire un equilibrio precario coi dominatori romani ed erano ostili a qualunque movimento messianico e a qualsiasi profeta che potessero animare le folle, sotto gli occhi intolleranti dei romani. E dopo tante diatribe avute da Gesù con farisei e sadducei, il Sommo Sacerdote Caifa decise che Gesù, agitatore già noto, avesse superato ogni misura con la risurrezione di Lazzaro: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che conviene che un solo uomo muoia e non vada in rovina la nazione intera!” (Gv 11,45-53 et 18,14). A Caifa non mancò nemmeno la spinta esplicita dei Farisei, interlocutori assidui ed ostili di Gesù: “Ecco: il mondo è andato dietro a lui!”. Tutti i racconti evangelici della Passione e la predicazione apostolica post pasquale ripetono più volte che “i capi dei sacerdoti e i farisei” si erano dati da fare. Quindi Caifa, nell'imminenza della Pasqua, dirige un processo penale in piena violazione delle procedure della Torah e con testimoni fasulli e lo chiude in tutta fretta, prima della Pasqua: “ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?” (Mt 26, 65). Non è preoccupato di fare giustizia ma di difendere il suo sistema. Paradosso del processo ebraico: Caifa, con la sua solenne condanna, notifica al mondo giudaico che la rivelazione messianica di Gesù è stata la manifestazione del Figlio di Dio e che la sua morte è per la salvezza di tutto il popolo.
E Pilato? Riceve, ascolta, discute e, alla fine, asseconda questi capi dei giudei, come non aveva mai fatto né mai più farà, perché tollerava la violenza tra giudei o preferiva andare per le spicce (tant'è che, pochi anni dopo, ma dopo un lungo periodo nell'incarico, Caligola lo rimuoverà e lo manderà nelle Gallie, rimuovendo anche Caifa). Certo, Pilato interrogò Gesù, mentre condivideva le inquietudini di sua moglie e le smanie esoteriche di Erode Antipa; Pilato avrebbe potuto negare la pena capitale! Ma poi come concluse? Agendo più da politico che da giudice, giocò con Barabba e Gesù, fece domande retoriche alla folla e aspettando da loro l'exploit finale “sia crocifisso!”; per potersi lavare poi le mani in pubblico. Pilato si rivolse a Gesù come “re dei Giudei” e questo diventò il titolo della condanna, apposto anche sulla croce. Nel processo romano emerse così l'altro paradosso: Pilato dichiara al mondo (dell'Impero Romano) che Gesù è il banditore di un nuovo regno, dedito ad una specie di  amore universale ed entrato nel mondo per dare testimonianza alla verità (Gv 18,36-37).
Gesù, profeta come Elia e maestro più autorevole di tutti gli altri in Israele, nei processi ebraico e romano è capito benissimo ed è rifiutato, attraverso le condanne. Ciononostante riceve proprio in questi ambiti autoritari una fortissima proclamazione di Figlio rivelatore di quel Dio conosciuto come Padre del Popolo dell'Alleanza e instauratore di un suo Regno spirituale nel mondo.
Gli evangelisti compresero che queste erano le premesse imprescindibili  affinché ogni discepolo, nella sequela fiduciosa di Gesù dopo la Risurrezione, potesse credere che le beatitudini e il comandamento dell'amore non erano  proclami di una morale nuova di un eroe ma la Via della Vita, donata dal Crocifisso che non scese dalla croce e che conduce tutti i suoi discepoli al Padre, attraverso tutti i tempi.


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